IL LICENZIAMENTO
- Il licenziamento per giusta causa trae origine dal verificarsi di una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto.
- Il datore di lavoro può legittimamente procedere al licenziamento per giusta causa solo ed esclusivamente nel momento in cui il lavoratore sia responsabile di un inadempimento talmente grave da essere incompatibile con la prosecuzione anche provvisoria del rapporto.
- Il licenziamento è palesemente illegittimo in caso di completa assenza della indicazione dei motivi sui quali lo stesso dovrebbe basarsi.
- La totale assenza dell’indicazione dei motivi che avrebbero dovuto supportare il licenziamento determina la violazione degli obblighi normativi, confermati costantemente dalla giurisprudenza, che incombono sul datore di lavoro allorchè voglia procedere al licenziamento di dipendenti.
- La motivazione del licenziamento deve essere sufficientemente specifica e completa, ossia tale da consentire al lavoratore di individuare con chiarezza e precisione la causa del suo licenziamento sì da potere esercitare un’adeguata difesa; da ciò consegue che tanto nel caso di omessa indicazione dei motivi quanto nel caso in cui la comunicazione del licenziamento sia così generica da risultare inidonea ad assolvere al suddetto fine, la stessa deve intendersi equivalente alla materiale omissione della comunicazione dei motivi.
- L’immediatezza della contestazione è un presupposto indefettibile di legittimità del licenziamento.
- Il licenziamento per giusta causa ex art. 2119 c.c. presuppone un comportamento talmente grave del lavoratore da non consentire la prosecuzione del rapporto neppure a titolo provvisorio. In tal senso, è principio giurisprudenziale pacifico e consolidato quello secondo il quale la giusta causa si sostanzia in una mancanza di cui il dipendente si è reso responsabile così grave che qualsiasi altra sanzione diversa dal licenziamento sia insufficiente a tutelare l’interesse del datore di lavoro.
- Stante la gravità della sanzione del licenziamento, nel momento in cui il datore di lavoro intima il licenziamento per giusta causa lo stesso è tenuto ad applicare tutte le garanzie previste dall’art. 7 della l. 300/1970 la cui ratio è quella di porre, nell’interesse del lavoratore, limiti precisi alla discrezionalità del datore di lavoro nell’esercizio del suo potere disciplinare, salvo restando il riscontro in sede di legittimità delle sanzioni comminate.
- Il licenziamento intimato è illegittimo, per palese violazione dell’art. 7 della legge n. 300/1970, nel caso in cui al lavoratore non sia stato contestato per iscritto l’addebito, con la contestazione del comportamento scorretto e la concessione allo stesso del tempo per la presentazione di giustificazioni.
- Le giustificazioni devono essere presentate dal lavoratore nel termine di cinque giorni dal momento di ricevimento della lettera di contestazione.
- Il licenziamento è illegittimo se nella lettera di licenziamento non è stato concesso al lavoratore alcun termine a garanzia del proprio diritto di difesa.
- In materia di licenziamento disciplinare, il principio dell’immediatezza della contestazione, che trova fondamento nell’art. 7, terzo e quarto comma, legge 20 maggio 1970, n. 300, mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa nella sua effettività, e, dall’altro, ad assicurare che il potere datoriale sia esplicato secondo canoni di buona fede ostativi a che lo stesso possa servirsi ad libitum dell’arma del recesso.
- L’immediatezza della contestazione è un presupposto indefettibile di legittimità del licenziamento, pertanto, l’enorme periodo temporale intercorso tra il presunto fatto addebitato al lavoratore ed il licenziamento intimato determina l’illegittimità dello stesso
- Il licenziamento intimato al lavoratore è illegittimo in caso di assenza di proporzionalità della sanzione più grave inflitta allo stesso rispetto al presunto fatto contestato.
- Il licenziamento intimato in caso di assoluta sproporzione tra l’asserito fatto addebitato e la sanzione irrogata. Il licenziamento in tronco per giusta causa, il quale costituisce la più grave delle sanzioni disciplinari, in tanto può considerarsi legittimo in quanto, valutato ogni aspetto del caso concreto, la mancanza di cui il dipendente si è reso responsabile rivesta una gravità tale che qualsiasi altra sanzione risulti insufficiente a tutelare l’interesse del datore di lavoro per l’idoneità della mancanza stessa a far venir meno l’elemento fiduciario che costituisce il presupposto fondamentale della collaborazione fra le parti nel rapporto di lavoro
- La giurisprudenza di legittimità ha ribadito espressamente che il giudizio di proporzionalità tra il fatto addebitato e la sanzione inflitta deve essere condotto non già in astratto, bensì con specifico riferimento alla natura ed alla qualità del rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni, oltre che all’entità della mancanza, considerata non soltanto nel suo contenuto oggettivo ma nella portata soggettiva, specialmente in relazione alle particolari circostanze in cui è stata posta in essere ed all’intensità dell’elemento intenzionale.